La distinzione tra parte
monumentale e parte direzionale del castello (distinzione che sarebbe definita
attraverso una planimetria allegata alla convenzione) appare tuttavia priva di
fondamento, se non come mero riferimento legato a fini organizzativi interni
rispetto ad un bene, il castello, che è tutelato nella sua interezza fin dal D.M.
24 maggio 1955 in quanto bene di particolare interesse storico-artistico, provvedimento dal
quale non si evince alcuna differenziazione riconducibile a quella riportata
nella convenzione. Si ritiene pertanto che tale distinzione non possa essere
utilizzata nel testo di una convenzione tra Amministrazione Pubblica e parte
privata, anche perché in certo modo allusiva di una gradualità di priorità tra
le due (presunte) porzioni dell’edificio storico, assegnando alla parte
indicata come “direzionale” una sorta di diritto attenuato (o di non diritto)
alla tutela peraltro prevista per l’intero complesso del castello dal
provvedimento sopra citato. Si aggiunga che è ampiamente documentato che il
castello è frutto di molti interventi realizzati nei secoli, dal Duecento in
poi, dalle varie signorie che hanno avuto il possesso del maniero, e che hanno
progressivamente portato ad un ampliamento dell’area abitativa. Di tali
interventi e della loro valenza storica ed artistica vi è peraltro traccia
anche nella documentazione relativa alle opere di restauro e recupero effettuate
dopo il passaggio della proprietà dal Comune di Oria alla famiglia Martini
Carissimo nei primi decenni del Novecento.
Circa l’uso previsto per la parte
“direzionale”, che sarebbe adibita ad attività di wedding ed eventi in genere,
anche musicali, con la precisazione che le attività di somministrazione di
pasti e bevande ed eventuale vendita saranno svolte nel castello in occasione
dei matrimoni e degli eventi in genere e/o durante le attività legate al
turismo culturale, scolastico e congressuale, è necessario sottolineare che si
tratta di una definizione imprecisa, specie alla luce del fatto che, sempre
secondo quelli che sarebbero i contenuti della convenzione, le obbligazioni
assunte con la convenzione medesima sarebbero legate all’esercizio
dell’attività di impresa e non costituirebbero invece obbligazioni propter
rem (cioè non sarebbero legate alla proprietà del castello). Da qui
l’esigenza di una definizione chiara ed univoca dell’attività di impresa
esercitata nel castello, anche alla luce di quanto riporterebbe la convenzione,
secondo la quale le obbligazioni assunte vincolerebbero le parti per tutta la
durata dell’attività imprenditoriale e comunque per un periodo non inferiore a
10 anni dall’avvio dell’attività. Dopo i 10 anni se l’attuale proprietà o
eventuali acquirenti o locatari non intendessero più svolgere l’attività di
impresa sopra descritta la Convenzione sarebbe sospesa, salvo un obbligo di
apertura al pubblico per ulteriori 20 anni (su questo aspetto si tornerà fra
breve). La descrizione dell’attività di impresa riportata nella convenzione
(descrizione decisiva per capire se essa è stata sospesa, ripresa, o se è
mutata) non appare adeguata né sul piano giuridico né su quello amministrativo.
L’espressione “attività di wedding”, se pure ammissibile in termini
giornalistici e mediatici, non ha alcun preciso significato in italiano (anche
in lingua inglese, infatti, il termine wedding – che di per sé, come è noto,
significa matrimonio - viene aggettivato allo scopo di identificare l’ambito di
attività di chi professionalmente opera nel settore: ad esempio wedding
planning). Analogamente, l’indicazione di “eventi in genere, anche musicali”
appare incerta. Sarebbe perciò opportuno, essendo l’Amministrazione Comunale,
quindi parte pubblica, uno dei sottoscrittori della convenzione, fare
riferimento almeno ai codici Ateco, riconosciuti dall’Agenzia delle Entrate,
per la definizione dell’attività di impresa di cui trattasi, in ragione del
rilievo di tale definizione ai fini dell’applicazione della convenzione
medesima.
Come segnalato sopra, secondo la
convenzione le obbligazioni con essa assunte atterrebbero all’esercizio
dell’attività di impresa e non costituirebbero obbligazioni propter rem.
Tali obbligazioni dovrebbero essere trasferite dall’attuale proprietà ad
eventuali cessionari, acquirenti o locatari dell’azienda che intendessero
svolgere la medesima attività. A parte i problemi connessi alla incerta
definizione di “attività” segnalati sopra, e a parte la questione circa l’effettiva
valenza di condizioni trasferite a terzi, specie se acquirenti e quindi nuovi
proprietari, derivanti da una convenzione da questi eventualmente non condivisa,
sembrerebbe che laddove i nuovi proprietari volessero esercitare una attività
di impresa diversa da quella prevista nella convenzione stessa, l’attuale
proprietà non sarebbe tenuta a trasferire alcuna obbligazione. Con il risultato
che, nell’ambito dei 10 anni, non è chiaro chi dovrebbe garantire l’apertura
del castello laddove la proprietà venisse ceduta con modifica dell’attività di
impresa: dovrebbe trattarsi dell’attuale proprietà, ma a quali condizioni? Si
tratta di un aspetto essenziale della convenzione, che ovviamente necessita di
un adeguato approfondimento.
Un altro aspetto che si presta ad
osservazioni critiche (e che è stato brevemente richiamato in precedenza)
riguarda l’apertura del castello dopo i 10 anni garantiti dalla stipula della
convenzione, nel caso di cessazione dell’attuale attività di impresa (attività
di wedding ed eventi in genere, anche musicali, come già ricordato). Su questo
punto il contenuto dell’accordo sembrerebbe essere particolarmente confuso. Da
un lato, infatti, si prevederebbe che dopo i 10 anni, se l’attuale proprietà o
eventuali acquirenti o locatari non intendessero più svolgere l’attuale
attività di impresa, la convenzione sarebbe sospesa; ma che chiunque
successivamente riprendesse la medesima attività imprenditoriale sarebbe tenuto
a rispettare la convenzione stessa. Da un altro lato si prevederebbe che, in
caso di cessazione dell’attività dopo il decennio, l’attuale proprietà e/o i
suoi aventi causa, in via diretta o tramite altro soggetto, dovrebbero
garantire la visitabilità della parte monumentale per i successivi 20 anni.
Tuttavia, e questo è un aspetto cruciale, a suo insindacabile giudizio la
proprietà potrebbe trasferire al Comune la gestione dell’area monumentale. In
pratica, la proprietà (l’attuale o i suoi aventi causa) potrebbe decidere di
affidare al Comune (in proprio o per tramite di altro soggetto) la gestione
delle aperture al pubblico dell’area monumentale, ma in questo caso, per quanto concerne
l’area monumentale, il Comune si farebbe carico interamente degli oneri
relativi alla manutenzione ordinaria, alle utenze, alle pulizie e agli altri
oneri comunali.
Emergono qui due questioni.
Intanto, la scarsa chiarezza
circa la previsione relativa alla medesima situazione, cioè quella della
cessazione dell’attuale attività di impresa dopo i 10 anni; previsione che da
un lato comporterebbe la sospensione della convenzione, e al tempo stesso, da
un altro lato, l’obbligo per la proprietà di garantire l’apertura al pubblico
della parte definita monumentale.
In secondo luogo, nel corso del
ventennio di cui si parla, si attribuirebbe alla proprietà la facoltà
insindacabile di trasferire al Comune la gestione dell’area monumentale,
ponendo così l’Amministrazione Comunale in condizione di netta subalternità sul
piano potestativo e decisionale, perché subirebbe passivamente decisioni altrui.
Inoltre si potrebbero configurare oneri finanziari al momento difficilmente
quantificabili, ma che nella sostanza si tradurrebbero in poste negative a
carico di Amministrazioni future.
Sempre secondo la convenzione,
gli ingressi all’area monumentale del castello sarebbero a pagamento (e par di
capire che gli introiti sarebbero incassati dalla proprietà). L’Amministrazione
Comunale potrebbe utilizzare gratuitamente l’area direzionale per eventi
(massimo 5 eventi per un totale massimo di 10 giorni e con un massimo di 10 ore
giornaliere) salvo pagamento di servizi accessori, oneri di pulizia e
sorveglianza e assicurativi, senza uso delle cucine e delle attrezzature, senza
possibilità di catering esterno, senza diritto di accesso all’area monumentale
(salvo accordi).
In cambio di questa prospettiva
di apertura al pubblico del castello, che come illustrato sopra appare limitata
nel tempo e densa di interrogativi, l’attuale proprietà otterrebbe la
variazione perpetua di destinazione d’uso (per poter effettuare banchetti e
ricevimenti, in sostanza matrimoni, ed organizzare eventi anche musicali) e,
per il presente, un non meglio specificato permesso di costruire.
2) Su un piano più generale, per
quanto riguarda quella che potremmo definire la filosofia che sembrerebbe
ispirare l’accordo, non possiamo fare a meno di sottolineare come la
convenzione attualmente proposta possa tradursi in un sostanziale arretramento circa
il diritto di uso pubblico di un bene che, benché di proprietà privata, è
sottoposto a specifici vincoli ed è inoltre incardinato nella storia e nella
cultura oritana e pugliese. Si può aggiungere che il Castello è collocato in
un’area, quella dei Tre Colli di Oria, a sua volta sottoposta a tutela in
quanto zona di notevole interesse pubblico. E’ anche bene ricordare che già l'atto di
permuta datato 4 dicembre 1933, all'epoca sottoscritto dal Podestà dell'Ente e
dal Conte Martini Carissimo, con il quale quest'ultimo, nell'acquistare la
proprietà del Castello Svevo a seguito della permuta di Palazzo Martini, si
impegnava a testualmente "[...] far visitare le torri nei giorni e nelle
ore che egli stesso vorrà designare a quei cittadini e forestieri che vi si
recheranno a scopo culturale e storico" non comprendeva limiti temporali.
Limiti temporali che oggi vengono invece introdotti, assumendo per tal
modo un impegno che potrebbe potenzialmente limitare l’autonomia d’azione delle
future amministrazioni, oltre che incidere negativamente sui diritti generali
dei futuri cittadini e della società civile di Oria e del territorio pugliese.
Sarebbe invece auspicabile che l’Amministrazione comunale
pretendesse sin da subito il rispetto dell’uso pubblico che si è venuto
consolidandosi sul castello, atteso altresì che nulla impedisce attualmente ai
proprietari (avendo sanato le opere abusive) di aprirlo al pubblico e di
avviare l’attività turistico–culturale e convegnistica per la quale a suo tempo
chiesero ed ottennero il permesso di costruire. È di tutta evidenza, infatti, che
il fatto, protrattosi nel tempo (per oltre settant’anni sono state consentite
le visite pubbliche al castello), della messa a disposizione del pubblico delle
torri e delle sale ad esse connesse, in uno con la clausola contenuta nell’atto
di permuta del 1933, in base all’interpretazione che le parti ne hanno
sempre dato, ha costituito su quella parte del maniero un diritto di uso
pubblico ai sensi dell’art. 825 c.c. e dell’art. 105 del Codice dei Beni
culturali e del Paesaggio.
3) Oltre a quanto esposto fin qui
riteniamo si manifesti anche un problema sul piano del metodo adottato
dall’Amministrazione Comunale. Su un tema di così evidente rilievo per la
città, sarebbe stato e sarebbe opportuno un maggiore coinvolgimento della
cittadinanza, attraverso un’opera di informazione diretta e chiara e attraverso
percorsi di partecipazione che possano coinvolgere la società civile e le sue
espressioni, così come previsto, del resto, dall’art. 61 dello Statuto del
Comune di Oria. Partecipazione che, per essere reale, necessariamente dovrebbe
essere preventiva, e non eventualmente ridotta ad una semplice informazione a
posteriori su atti già compiuti.
Si aggiunga, sempre sul piano del
metodo, che la bozza di accordo chiarisce che gli effetti della
convenzione rimarrebbero sospesi sino all’approvazione da parte della
Sovraintendenza. Il che sembrerebbe significare che il Consiglio Comunale
dovrebbe approvare un atto la cui validità dipenderebbe da un parere ancora non
ottenuto: non sarebbe più semplice e anche più logico evitare questa impropria
inversione del percorso, acquisendo preliminarmente il prescritto parere della
Sovraintendenza? A questo
proposito, si potrebbe anche pensare all’indizione di una specifica Conferenza
di servizi come strumento
di coordinamento dei molteplici interessi coinvolti nella tutela di un bene di
sicuro valore archeologico, paesaggistico e ambientale, al fine di soppesarli ed aggregarli secondo un
principio di ampio e corretto confronto democratico.
In sintesi, ribadendo la nostra
posizione del tutto favorevole all’apertura al pubblico del Castello di Oria,
ribadiamo altresì che, per quanto è noto allo stato dei fatti, le condizioni
fissate dalla bozza di convenzione attualmente in discussione non appaiono accettabili.
In primo luogo, si tratta, nella
sostanza, di un accordo che presenta evidenti elementi di asimmetria a sfavore
dell’Amministrazione Comunale, e più in generale della cittadinanza e della
società civile oritana e non.
In secondo luogo tale accordo è
viziato in più punti da imprecisioni e lacune, da cui potrebbero derivare, in
futuro, contenziosi anche complessi, e rispetto alle quali appare necessario uno
specifico approfondimento.
Infine, ribadiamo la nostra
protesta relativamente al metodo fin qui adottato dall’Amministrazione
Comunale, che non ha tenuto in alcun conto i diritti alla partecipazione dei
cittadini, singolarmente o attraverso le espressioni della società civile, pure
sanciti, oltre che dal contesto normativo nel suo insieme, anche dallo Statuto
comunale, e conseguentemente ribadiamo la richiesta di adeguati percorsi di
partecipazione.
Oria, 4 ottobre 2020 Associazioni: Legambiente, Circolo Piaroa Oria - Mente Civica Oria